Ansia da errore sul lavoro: quando la paura di sbagliare blocca il tuo valore

da | Ott 7, 2025 | Ansia

Ci sono giornate in cui il solo pensiero di una riunione, di una mail inviata con una parola in più, di una decisione presa senza consultare nessuno, può mandarti in tilt. Come se ogni gesto avesse un peso sproporzionato. Come se ogni errore fosse una minaccia alla tua credibilità. Allora ti ricontrolli. Rileggi tre volte. Cerchi conferme. Rimandi. Ti chiudi. Ti giudichi.

E intanto, dentro, cresce quella sensazione sottile ma costante: quella di non essere mai abbastanza.

Il perfezionismo sul lavoro: quando “fare bene” non basta più

L’ansia da errore non è solo una preoccupazione legittima di chi tiene al proprio lavoro. È qualcosa di più. È quella tensione interna che ti impedisce di sentirti davvero competente, anche quando tutto attorno ti dice il contrario. È il bisogno di approvazione mascherato da precisione. È il timore di non essere all’altezza, anche se nessuno te lo ha detto.

In terapia, questa ansia si manifesta spesso con una frase ricorrente: “Non posso permettermi di sbagliare.”

Ma da dove arriva questa convinzione?

Spesso nasce da lontano. Da un’educazione che ha premiato solo i risultati perfetti, non il percorso. Da ambienti competitivi in cui ogni errore era sinonimo di debolezza. Da un dialogo interiore impietoso, dove la voce del giudice è sempre più forte di quella dell’alleato. E nel mondo del lavoro, tutto questo si amplifica. Perché lì, ogni errore può avere conseguenze visibili, può essere “visto”, commentato, valutato.

Sbagliare come minaccia all’identità

Per molte persone, soprattutto se ambiziose, sensibili e responsabili, l’errore non è solo un inciampo. È un colpo all’identità. “Ho sbagliato” si trasforma in “Non valgo”. Il giudizio non resta sull’azione, ma si sposta sulla persona.

E così, per proteggersi da quel giudizio — proprio e altrui — si mette in campo una serie di strategie: controllo eccessivo, procrastinazione, ricerca continua di conferme, bisogno costante di essere “visti” come infallibili.

Ma a che prezzo?

Il prezzo è alto. Perché questa pressione costante spegne la creatività, irrigidisce i rapporti, rende faticoso anche il più semplice dei compiti. E soprattutto alimenta un cortocircuito emotivo: più temi di sbagliare, più cerchi di controllare tutto. Ma più controlli, più sei in tensione. E più sei in tensione, più aumentano le possibilità di errore.

L’errore non è il problema. È come lo interpreti

Il punto non è l’errore in sé. Gli errori, nel lavoro come nella vita, sono inevitabili. Sono parte di qualsiasi percorso di crescita, di qualsiasi cambiamento, di qualsiasi attività che richieda decisioni, relazioni, pensiero. Ma quello che fa davvero la differenza non è tanto l’errore, quanto il significato che gli attribuisci.

Se per te sbagliare equivale a essere inadeguata, ogni piccolo inciampo — anche un dettaglio irrilevante — può diventare una fonte di ansia paralizzante. Come se quel dettaglio fosse la prova definitiva che non sei abbastanza, che non dovresti occupare quel ruolo, che “prima o poi se ne accorgeranno”.

Se invece riesci a leggere l’errore per ciò che è — un evento, un feedback, una parte inevitabile del processo — allora cambia tutto. Allora puoi accogliere anche ciò che non è andato come speravi, e usarlo per fare un passo avanti.

Pensaci: le persone che ammiri di più nel tuo ambito lavorativo, quelle che ti sembrano davvero solide, professionali, capaci… non sono forse quelle che sanno assumersi la responsabilità anche quando sbagliano? Quelle che non si nascondono dietro giustificazioni, non crollano sotto il peso della colpa, ma guardano l’errore in faccia, lo riconoscono e poi… vanno avanti?

Ecco, quella è forza psicologica. E non ha nulla a che fare con la perfezione. Ha a che fare con la fiducia nella propria capacità di gestire gli imprevisti, gli inciampi, le difficoltà.

Quando l’errore diventa esperienza

C’è un concetto fondamentale nelle Terapie Brevi che può cambiare il modo in cui vivi gli errori: la differenza tra errore come fallimento ed errore come informazione.

Nel primo caso, ti blocchi. Ti chiudi. Ti autosvaluti. Vivi l’errore come una macchia sulla tua identità, come la prova che hai fallito non solo in quel compito, ma in generale. E più ti identifichi con quell’errore, più sarà difficile riprovare. Perché nella tua testa sarà diventato un’etichetta: “quella che non è capace”.

Nel secondo caso, invece, impari. Ti adatti. Migliori. Perché ogni errore — piccolo o grande che sia — porta con sé una quantità preziosa di informazioni: ti dice cosa ha funzionato e cosa no, ti mostra i tuoi automatismi, ti aiuta a leggere meglio le dinamiche attorno a te.

Se riesci a fermarti, a non reagire subito con rabbia o giudizio, ma a osservare, allora l’errore si trasforma in qualcosa di potente. Diventa competenza. Ti permette di correggere la rotta, non per essere perfetta, ma per essere più consapevole. Più libera.

È questo, in fondo, che ti rende professionale: non il non sbagliare mai, ma il sapere che puoi affrontare anche ciò che va storto. Che non crolli. Che non ti definisci in base a un errore. Ma che lo attraversi e lo usi.

“Il fallimento non è l’opposto del successo. È parte del successo.”

E non è solo una frase da post motivazionale. È una verità che chi lavora con serietà conosce: l’esperienza si costruisce anche (e soprattutto) attraverso gli errori. Chi non ha mai sbagliato, probabilmente, non si è mai davvero messo in gioco.

Il perfezionismo non è sinonimo di eccellenza

Spesso chi vive questa ansia da prestazione la giustifica così: “Sono solo molto precisa”, oppure “Pretendo tanto da me perché voglio migliorarmi”. Ma c’è una differenza enorme tra la tensione sana verso il miglioramento e l’ossessione per la perfezione.

La precisione è utile quando è funzionale. Il perfezionismo, invece, è punitivo. Non ti aiuta a crescere: ti tiene immobile. Ti tiene nel loop del “non è mai abbastanza”. Ti fa correggere un lavoro cento volte. Ti fa rimandare una consegna. Ti fa lavorare fino a tardi per un dettaglio che solo tu noterai. Ti fa vivere male.

E tutto questo non per eccellere, ma per non sentirti inadeguata.

Il dialogo interno: la voce più potente sul posto di lavoro

Una delle cose più trasformative che puoi fare è osservare come ti parli quando sbagli. Ti insulti? Ti sminuisci? Ti paragoni agli altri? Oppure ti concedi il beneficio del dubbio? Ti chiedi cosa puoi imparare?

In terapia, lavoro spesso su questo. Perché è proprio lì che avviene il cambiamento: nel modo in cui ti relazioni con te stessa nei momenti critici. Non si tratta di “pensare positivo”, ma di avere uno sguardo più realistico e più gentile. Di distinguere tra ciò che fai e ciò che sei.

Allenare l’autoefficacia: il vero antidoto all’ansia

L’antidoto all’ansia da errore non è smettere di sbagliare. È sentirti capace di affrontare gli errori quando arrivano. Questo è il cuore dell’autoefficacia: non la perfezione, ma la fiducia nella tua capacità di gestire le cose.

Per rafforzarla, ci sono alcune strategie concrete:

  • Fermati dopo un errore. Prenditi il tempo per osservare cosa è successo, cosa hai provato, cosa puoi imparare. Non correre subito a “sistemare”.
  • Chiediti: “Che consiglio darei a una collega in questa situazione?” Spesso siamo molto più gentili con gli altri che con noi stessi.
  • Fissa uno standard realistico. Chiediti: “Deve essere davvero perfetto?” oppure “Deve essere abbastanza buono per oggi?” E anziché puntare solo a grandi obiettivi, prova a puntare a piccoli obiettivi settimanali, ad esempio.
  • Dai valore al processo. Non tutto si misura in risultati. Anche il modo in cui affronti un problema è un risultato.

Una nuova idea di successo

Forse è arrivato il momento di ripensare il concetto stesso di successo. Non come prestazione impeccabile, ma come presenza. Come capacità di stare in ciò che c’è, con tutte le sue imperfezioni. Come allenamento a rimanere, anche quando hai sbagliato. Anche quando ti senti scoperta.

Perché il successo vero non è non cadere mai. È sapersi rialzare, guardarsi con onestà e ripartire.

Fatto è meglio che perfetto.”
E forse, a volte, anche sbagliato è meglio che mai provato.

Conclusione: non sei il tuo errore

Nel lavoro come nella vita, non sei la somma delle tue performance. Sei una persona, con risorse, con limiti, con margini di crescita. Il tuo valore non si misura con i feedback, con i voti, con gli esiti.

Inizia a guardarti come guarderesti una collega che stimi: con uno sguardo più largo, più profondo, più comprensivo. Non perfetto. Ma umano.

Nota importante

Le riflessioni che hai letto in questo articolo non sostituiscono in alcun modo un percorso terapeutico personalizzato. Ogni vissuto è unico, e ciò che funziona per una persona potrebbe non essere utile o adatto per un’altra. Gli spunti che trovi qui vogliono essere un punto di partenza, non una soluzione universale. Se senti che l’ansia legata al lavoro o alla paura di sbagliare diventa troppo pesante da gestire da sola, chiedere aiuto a un professionista può fare la differenza. La terapia, quando è costruita su misura, ti accompagna nel trovare strategie efficaci e sostenibili, nel pieno rispetto della tua storia.

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *